Riconoscere e far crescere le soft skill
Talvolta le soft skill nel mondo del lavoro appaiono come le forme di vita aliene nei blog complottisti: tutti le cercano, tutti sono convinti che esistano e che siano la chiave del futuro, ma nessuno sa esattamente come si possa riconoscerle inequivocabilmente – e così il tema resta un campo aperto per la speculazione e le opinioni non surrogate da fatti.
Fortunatamente però le soft skill, a differenza degli alieni, sono sicuramente fra noi: possono essere studiate, e si può provare a definire delle metodologie condivise per individuarle e misurarle. Molte organizzazioni che hanno il loro focus sulla formazione o sull’employment stanno portando avanti attività di questo tipo.
Bridge Partners® dal 2005 lavora per diffondere una cultura della managerialità fondata su approcci strutturati specializzandosi su una particolare soft skill: la capacità di negoziazione. Grazie all’osservazione di migliaia di negoziazioni Bridge Partners® ha sviluppato un metodo scientifico, che ha la sua genesi negli studi sul processo negoziale condotti a partire dai primi anni ’70 da Gavin Kennedy, per definire in primis la capacità negoziale, farla crescere tramite la formazione e verificarne l’efficacia.
Alessandra Colonna, Ceo di Bridge Partners® , ci racconta le sfide insite nel lavorare nel campo delle soft skill.
Fare formazione e assessment sulle soft skill comporta sfide e complessità diverse rispetto alla formazione su competenze tecniche o di dominio?
Certamente alla formazione tecnica, già di per sé complessa, nel caso delle soft skill, si aggiunge una ulteriore complessità. Usando le parole della Prof. Barbara Imperatori per spiegare in sintesi questo fenomeno:
"La socialità che caratterizza la nostra cultura ha in parte rallentato processi più strutturati di codifica e sviluppo di competenze manageriali relazionali, che spesso sono considerate un tratto caratteriale e psicologico naturale. La complessità attuale dei contesti organizzativi sta mettendo in luce le debolezze di questo modello manageriale"
Alle soft skill oggi viene attribuito un grande valore, anche in relazione al rapido mutamento dei domini tecnici. Questa consapevolezza è stata maturata a tutti i livelli coinvolti – formatori, imprenditori, specialisti in risorse umane, learners – o ci sono differenze? Su quali fasce sarebbe particolarmente necessario agire?
Credo che in generale venga attribuito un certo valore sulla carta alle soft skill, ma dubito che questo poi si traduca in investimenti a sostegno del loro sviluppo. Trovo ci sia una situazione a macchia di leopardo: intanto per ragioni culturali, la nostra tradizionale impresa di famiglia, fondata sull’originale felice intuizione del fondatore e sulla cultura del fare, nutre ancora molta diffidenza su queste tematiche. Non voglio stigmatizzare questo comportamento, mi limito a constatarlo.
In generale ci penalizza una traduzione un po’ maldestra: soft skill ossia accessorie. A ciò si aggiunga che spesso c’è una sorta di diffusa presunzione del top management circa il possesso delle competenze soft, che penalizza e contamina poi tutta l’organizzazione.
Dalla abilità innata al metodo appreso: le soft skill stanno di fatto diventando delle nuove tecniche da applicare?
Lo sono eccome. E’ una questione di consapevolezza e aziendalmente parlando di knowledge management. Le soft skill possono essere codificate: questo non con un approccio deterministico, ma semplicemente analitico.
Faccio un esempio. Prendiamo un manager in azienda, apprezzato per la sua capacità di comunicare o negoziare in maniera efficace. Se però non è consapevole di quali comportamenti pone in essere per risultare tale, non sarà in grado di trasmetterli ai suoi collaboratori. Gli effetti negativi per citarne alcuni: frustrazione nei collaboratori, perdita di know-how e aggravio di costi per l’azienda stessa che si dovrà avvalere di risorse esterne per sviluppare queste competenze.
Riconoscere le soft skills: quanto può essere a sua volta soft il processo di riconoscimento e attestazione delle soft skills? Servono percorsi formativi ad hoc, o piuttosto dei momenti di assessment indipendenti dalla formazione, che possano riconoscere le soft skills sviluppate dalle persone nelle loro diverse esperienze?
Se la formazione ha un carattere esperienziale, come nel caso nostro, diventa un efficace viatico di consapevolezza, e quindi consente di acquisire strumenti di autovalutazione e al contempo per migliorarsi. Un assessment esterno completerebbe il processo di valutazione rinforzandone l’oggettività.
Gli Open Badge sono attestazioni digitali, puntuali (“micro”), verificabili e che espongono in modo chiaro e semplice i criteri con cui vengono assegnate. Quali di queste caratteristiche li hanno resi particolarmente interessanti per la vostra attività?
Gli Open Badge rendono visibile in maniera semplice e immediata a tutti gli stakeholder le competenze acquisite grazie a un processo formativo unitamente al contenuto dello stesso. Facilità, fruibilità, semplicità: tre armi vincenti degli Open Badge a beneficio del mercato stesso del lavoro, dei suoi player e dei meccanismi di employability.
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