Fare backcasting per cambiare il futuro

Immagina il 2025 che vuoi. Ed ora costruiscilo. Pillole dall’intervento di Simone Ravaioli sugli Open Badge al 7° Salone GammaDonna per l’Imprenditoria femminile e giovanile.
13 Novembre 2015

Il 12 Novembre si è svolto a Torino il 7° Salone nazionale dell’Imprenditoria Femminile e Giovanile, un incontro organizzato da GammaDonna dedicato a “I modelli imprenditoriali emergenti”, per capire come sta cambiando l'Italia. Quali sono le nuove modalità di fare impresa e di innovare i processi tradizionali, quali sono i modelli emergenti in cui l’innovazione si coniuga con la capacità di lavorare in team, quali sono i contesti in cui persone e creatività tornano ad occupare un ruolo centrale?

Il Salone ha aperto con una citazione:

“L’innovazione non è mai arrivata attraverso la burocrazia e la gerarchia. È sempre arrivata attraverso gli individui.”

John Sculley

Fra i tanti relatori - dall’imprenditrice MariaCristina Gribaudi di Keyline a Gianluca Dettori di Shark Tank dal Miur con Francesco Luccisano agli investors e founders di startup di successo come GialloZafferano e Gnammo - anche Simone Ravaioli, che ha raccontato l’esperienza di Bestr e degli Open Badge.

Ecco, in pillole, il suo intervento.  

Connected Learning

La formazione è continua e prende strade sempre nuove, spesso poco codificate. Secondo la ricerca “Degreed, the importance of informal learningsolo il 23 % dei lavoratori dichiara di avere completato un corso - di qualsiasi tipo - negli ultimi 2 anni, mentre ben il 70% dice di avere appreso qualcosa utile per il proprio lavoro nelle ultime 24 ore da un articolo, un video o un libro. A queste fonti ogni giorno vengono dedicati almeno 30 minuti del proprio tempo, perché i professionisti sono convinti che il 40-60% della loro conoscenza e delle skills rilevanti per essere bravi nel proprio lavoro derivino proprio dall’apprendimento informale.

In questo campo Internet ha cambiato tutto e oggi il concetto di formazione è connected - come sostiene LRNG, il movimento dedicato a “inspiring innovation” nel processo di apprendimento - perché permette di ridisegnare i sistemi sociali e catalizzare il cambiamento.

Il paragone per una società connessa che ha sempre più bisogno di esplorare vie diverse per la crescita personale potrebbe essere con una playlist, che contiene “tracce” non musicali ma di competenze: le risorse che possono essere consumate (youtube video, book, game, twitter), le esperienze che possono essere maturate (attività come un evento, un corso online/offline, un viaggio, la partecipazione ai boy scouts anche!) e le credenziali che devono poter essere riconosciute e fatte valere (evidenze di competenze acquisite).

Skills & challenges

Oggi il nostro modo di imparare è fatto da una costellazione di micro esperienze di apprendimento che nel rappresentano la “coda lunga” della formazione ma con cui cresciamo continuamente, ossia lifelong. Assieme a queste micro esperienze, ci sono poi anche macro esperienze di vita che ci formano e definiscono - esperienze che sono importanti per noi personalmente (crescita personale) ma allo stesso tempo rilevanti per gli altri (employers).  

Sono le esperienze nelle quali apprendiamo quelle life skills o qualità interpersonali oggi tanto cruciali. Le cosiddette soft skills, che vengono ricercate sul mercato del lavoro - come sostengono le imprese stesse - ma che non è semplice insegnare in aula.

Queste qualità personali quali versatilità, tolleranza, empatia, resilienza sono le skills del futuro, ma anche le grandissime sfide del presente.

Un esempio di questo nuovo approccio è l’esperienza Erasmsus.  Si dice che ci sia vita “prima e dopo” l’Erasmus - perché appunto #erasmusNESS è uno skillset  che si comincia ad acquisire in moltissimi casi attraverso questa esperienza. 

Ma non solo esperienze “positive” e “giovanili”: anche la cronaca, quella più terribile, ci ricorda come ci siano esperienze di viaggio molto meno divertenti  - ma altrettanto forti, addirittura più formanti. E questo è il caso dei rifugiati e dei migranti. Un fenomeno globale, forse il più impattante dell’ultimo decennio, a cui chi governa, chi fa impresa e chi fa formazione dovrebbe pensare in termini nuovi e scevri da ideologie: l’integrazione non è solo un problema da risolvere ma deve diventare anche una risorsa a cui attingere. Perché nel viaggio verso l’Europa, nella vita precedente nel proprio Paese, nella difficile esperienza dei conflitti e delle persecuzioni, queste persone hanno appreso le più complesse soft skills, quelle della sopravvivenza e della costruzione di un nuovo progetto di vita. Sul campo.

The Prestige

Tutto questo patrimonio di formazione “micro e macro” - che poi è la nostra identità - resta spesso nascosto perché non può essere certificato. Perché non esistono modalità adatte per riconoscerlo, farlo valere, farlo conoscere sul mercato del lavoro e nel proprio network. Ecco perché gli open badges sono uno strumento essenziale con cui colmare lo spazio fra una società che si evolve e il modello imprenditoriale emergente della formazione.

Ma non basta costruire meccanismi di certificazione, servono anche reti di fiducia basate sulle evidenze. Serve capacità di adattarsi e di creare una formazione su misura.

Prendiamo il caso dei MILLENIALS: come vorranno imparare, come dovrà adattarsi la formazione alle loro esigenze? Partire dalla domanda - dai soggetti attivi - è molto più efficace che partire dall’offerta, ossia indovinare i lavori di domani, che ancora oggi non esistono.

L’esercizio che la società e gli specialisti devono fare non è quindi quello di forecasting, su dati alla mano che non sono disponibili, quanto di backcasting, come nel "ritorno al futuro" del film di Robert Zemeckis, ovvero partire dai desiderata delle persone per quanto riguarda la modalità di apprendimento, quindi immaginarci di essere nel 2025 e raccontare le policies e gli strumenti che ci avranno portato fino a lì.  

Gli Open Badges - o come si chiameranno nel 2025 - saranno uno di questi strumenti.